La ripartenza c’è stata, il rilancio dell’occupazione no. O almeno non al punto da avere recuperato tutti i 300mila posti persi dal 2008. Il Mezzogiorno partecipa al rimbalzo record del Paese ma si riscopre ancora fragile e soprattutto precario alla voce lavoro. Capace, cioè, di resistere meglio del Centro-Nord alla pandemia e dunque di ridurre le perdite, come ha ben spiegato ieri il Rapporto del Cnel. Ma non di riarruolare quanti sono stati espulsi dal mercato dei mestieri e delle professioni in oltre 15 anni di crescita di poco superiore allo zero. L’assenza di dati ufficiali (solo nelle prossime settimane si conosceranno quelli del 2021 dell’Istat divisi per aree territoriali) non agevola la lettura e la narrazione di quanto accade su questo caldissimo fronte: ma esperti e ricercatori concordano sul fatto che sostanzialmente la ripresa di questi mesi non corrisponde al Sud ad un aumento dell’occupazione in termini assoluti. «A voler essere ottimisti, però, le buone notizie dovrebbero arrivare nei prossimi due anni dice Salvio Capasso, economista di Srm, la Società di studi e ricerche collegata al Gruppo Intesa Sanpaolo – nel 2015 e 2016 la crescita del Mezzogiorno superò quella del Centro-Nord perché ci fu una vera e propria corsa a spendere i Fondi strutturali europei del ciclo di programmazione 2007-13 che godeva, come è sempre accaduto, dei tre anni di proroga. Se consideriamo che il ciclo 2014-2020 è nella stessa fase di proroga e che moltissime risorse non sono state ancora utilizzate è possibile che la storia si ripeta. Contando anche sugli investimenti previsti dal Pnrr si potrebbe davvero cambiare passo». In attesa di capire se anche stavolta i corsi e ricorsi di vichiana memoria saranno confermati, bisogna fare i conti con la realtà di oggi. Che resta pesante anche se, citando ancora l’approfondito Rapporto del Cnel, l’effetto Covid grazie soprattutto alle misure di sostegno del governo al sistema produttivo non ha peggiorato la situazione. Al secondo trimestre 2021, «la dinamica occupazionale migliore del Paese si osserva nel Mezzogiorno. Infatti, in confronto al periodo precedente l’inizio della pandemia, nelle regioni del Nord il livello di occupazione è ancora inferiore di 264 mila unità (-2,2 per cento rispetto al quarto trimestre 2019), nel Centro di 144 mila (-2,9 per cento), mentre nel Mezzogiorno le perdite sono state quasi completamente recuperate (-44 mila, pari a -0,7 per cento). Anche considerando il tasso di occupazione, sono le regioni meridionali a mostrare una situazione più favorevole, in quanto registrano il calo più contenuto nel 2020 e la crescita più marcata nel 2021: il livello dell’indicatore è al 44,8 per cento, di 0,3 punti superiore a quello del quarto trimestre 2019, a fronte di una distanza di 1,5 punti nel Nord (dove è pari al 66,5 per cento) e di un punto nel Centro». Il dramma, perché di questo si tratta, è che proprio queste percentuali misurano la reale distanza tra Sud e Nord sull’occupazione al netto dell’emergenza Covid: erano insopportabilmente alte già prima della pandemia, oltre 20 punti, un abisso sconosciuto a tutto il resto dell’Europa, lo sono a maggior ragione oggi che la ripresa sembra davvero interessare tutto il Paese. È vero dunque, come anche i dati Inps più aggiornati confermano, che la performance del Mezzogiorno in piena pandemia è stata migliore (il Sud è l’unica area in cui il saldo tra assunzioni e cessazioni relativo al totale dei rapporti di lavoro alle dipendenze si è in pratica riportato sui livelli del 2019). Ma è altrettanto vero che dietro i numeri vanno lette tante altre cose. Ad esempio, la particolare composizione settoriale del lavoro al Sud nella quale il peso del pubblico sul totale degli occupati è più rilevante del Nord dove l’impatto del lavoro privato è sensibilmente più alto. O l’incidenza del lavoro occasionale o legato al mondo dei servizi, dalla ristorazione ai trasporti locali, all’accoglienza che assorbe almeno il 20% dell’economia meridionale: senza gli stimoli e gli incentivi pubblici non avrebbe fatto molta strada. Ma questa, ormai, è storia nota. Meno conosciuta, forse, è quella che misura la tipologia della nuova occupazione registrata anche al Sud. Si tratta per lo più di contratti a termine, come certificano Svimez e Srm, in linea peraltro con la tendenza del mercato del lavoro nazionale nel quale negli ultimi dodici mesi i nuovi contratti a tempo sono quasi il triplo dei nuovi contratti stabili. E se in tutte le regioni italiane, come ha ricordato di recente l’Inapp, «i contratti stipulati per le donne sono inferiori a quelli degli uomini», è per le donne del Sud che questa distanza diventa ancora più ampia: un terzo del totale in Basilicata, Sicilia e Calabria, meno del 40% in Campania, Molise, Puglia.

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