Sono disperati, preoccupati, stanchi di lottare e di chiedere “giustizia per la propria condizione di uomini e di lavoratori”. Gli operai delle Fonderie Pisano, questa mattina, hanno organizzato un corteo accompagnati dai rappresentanti della Cgil, Francesca D’Elia ed Anselmo Botte, ma anche da moglie e figli che hanno urlato slogan e esposto cartelli. Partiti dalla sede dello stabilimento, in via dei Greci, in oltre 250, hanno percorso Calata San Vito, Via Carmine, Piazza S. Francesco, Piazza XXIV Maggio, Corso Vittorio Emanuele, Via Diaz, Via Roma, per terminare in Piazza Portanova. Il momento più sentito è stato sotto Palazzo di Giustizia, quando gli operai hanno urlato più volte “vergogna” e “andate a lavorare”. Insieme a loro, tra gli altri, gli studenti degli istituti Galilei e Virtuoso, oltre alle moglie e ai figli degli stessi lavoratori che hanno esposto cartelli come “Se papà non lavora, io non posso crescere felice” e “Ci avete chiusi e buttati via come sacchi di immondizia perché puzziamo”. A capeggiare la manifestazione la moglie di uno di loro, Angela Petrone accompagnata da due delle tre figlie, di otto e nove anni. “La più grande di dodici anni – dice – è andata a scuola, lei è la più sensibile, capisce di più la gravità di questa situazione e per lo stress sta perdendo i capelli. Noi siamo ormai disperati”. “E’ la terza volta – spiega il sindacalista Botte – che scendiamo in strada per manifestare sulla questione delle Fonderie. Si tratta di una marcia della disperazione. Non riusciamo a capire come, nonostante i limiti di legge risultano rispettati, la fabbrica resti chiusa. Continueremo a protestare e farci sentire perché riteniamo di essere dalla parte della ragione”.

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