Si chiamano Mario Cinque e Walter Intilla i due militari dell’Arma arrestati, ieri mattina, dai loro colleghi del comando provinciale di Napoli perché accusati, a vario titolo, di falso, favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio. Insieme a loro è finito in manette anche un ras dei Longobardi-Beneduce di Pozzuoli, Gennaro Di Costanzo, accusato di aver gambizzato nel 2018 uno spacciatore che si rifiutava di approvvigionarsi di stupefacenti dall’organizzazione criminale. Arresti, quelli eseguiti dai carabinieri e coordinati dal pm della Dda di Napoli Giuseppe Visone, che sono il frutto di un’articolata attività investigativa avviata alcuni anni fa quando, nei verbali di alcuni collaboratori, di giustizia, cominciò a circolare il nome di Mario Cinque. Tra gli accusatori del presunto militare infedele anche Roberto Perrone, ex esponente di spicco della cosca Polverino di Marano. Tra i vari episodi citati dal pentito c’è anche quello di una presunta soffiata che Cinque avrebbe fatto ad esponenti del sodalizio Polverino riguardo a controlli da parte dei suoi colleghi nella zona dove all’epoca si nascondeva Giuseppe Polverino. Soffiata che spinse Perrone, che si occupava proprio della latitanza del padrino maranese, a trovargli un nuovo nascondiglio. A puntare il dito contro il militare anche Giacomo Di Pierno, legato agli ambienti malavitosi di Quarto dove Cinque ha prestato servizio per alcuni anni. Di Pierno, oltre a riferire di avergli consegnato, in un’occasione la somma di 1500 euro, ha indicato il sottufficiale come persona a lui legata e che si sarebbe prestata, su indicazione dello stesso Di Pierno, a sequestrare un carico di droga importato dalla Spagna da un sodalizio concorrente. In tempi più recenti anche Gennaro Carra, genero del boss detenuto Salvatore Cutolo e, fino al momento del suo pentimento, reggente dell’omonimo sodalizio del rione Traiano, ha riferito di aver, in diverse occasioni, consegnato denaro o fatto piaceri al militare corrotto. In particolare, l’ex ras ha ricordato il loro primo incontro, avvenuto poco tempo dopo che Cinque era entrato in servizio al nucleo operativo della compagnia Bagnoli.

In quell’occasione, ha ricordato Carra, il militare, dopo averlo fermato per un controllo mentre era in compagnia di altri malavitosi della zona, lo avrebbe preso da parte per chiedergli di procurargli una Mercedes SLK rubata, auto dello stesso modello in suo possesso perché aveva bisogno di pezzi di ricambio. Quello, ha continuato Carra, fu il primo di una lunga serie di favori. Spesso, infatti, il ras avrebbe pagato i conti che il sottufficiale dell’Arma avrebbe lasciato insoluti presso un noto ristorante di Pozzuoli, meta prediletta da numerosi esponenti della camorra napoletana. In un altro paio di occasioni, invece, Cinque avrebbe chiesto “prestiti” senza, però, mai onorarli. Finanche sarebbe arrivato a chiedere al boss del rione Traiano una barca o, una volta che Carra si era rifiutato, di provvedere affinché potesse noleggiarne una. Decisive le intercettazioni per completare il mosaico accusatorio a carico di Cinque. Elementi che hanno permesso di mettere nel mirino anche l’altro carabiniere coinvolto nell’operazione, Walter Intilla, per cui sono stati disposti gli arresti domiciliari. A mettere nei guai quest’ultimo sarebbe stato un favore fatto a Cinque nel 2019. Intilla, infatti, sarebbe stato contattato dal collega per chiedergli di eventuali indagini a carico di un conoscente di Cinque che era stato convocato dal comando dove Intilla prestava servizio. Grazie alle informazioni acquisite da un altro militare, quest’ultimo però non ancora identificato, Intilla avrebbe confermato a Cinque l’esistenza di un’attività in corso consigliandogli anche di «mollare tutto perché stavano faticando».

Non sarebbe stata l’unica informazione coperta d’ufficio passata al collega. In un’altra occasione, infatti, Intilla avrebbe svelato l’imminenza di un blitz nei confronti di un malavitoso di Pozzuoli. Non è tutto: da un’intercettazione ambientale, raccolta grazie a una microspia posizionata all’interno dell’auto utilizzata da Cinque, è emerso che Intilla era il flagello degli spacciatori extracomunitari che operano nelle zone di Pineta Grande e Castelvolturno. È lo stesso Cinque, approfittando di una momentanea assenza del collega, a confidare a una terza persona il modus operandi di Walter. «Hai capito che facevano? Entravano nelle case dei neri. Quaranta o cinquantamila. Si prendevano tutto e non li arrestavano. Hai capito come facevano?». Nelle tasche di Intilla, però, non sarebbero finiti solo soldi ma anche ingenti quantitativi di droga che poi il militare avrebbe rivenduto a spacciatori legati alla camorra.

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