Diciamocela tutta: non esistono giornalisti “equidistanti”. Montanelli invitava a “turarsi il naso e votare Dc” per scongiurare quello che per lui era il rischio dell’avvento del comunismo sovietico in Italia. Scalfari era un pensatore liberaldemocratico. Prezzolini un genio fortemente influenzato dalle idee di Croce. Pasolini un marxista allergico al conformismo. Travaglio “tifa” per i 5 Stelle. Esistono, però e per fortuna, giornalisti indipendenti. I prestatori occasionali d’opera d’ingegno che non si legano a nessun padrone. È uno sparuto gruppo. Questo è vero. Ma c’è. E si fa sentire. Anche perché fanno parte di questa ristretta schiera quelli bravi e colti. Negli ultimi anni hanno avuto vita ancora più difficile perché qualche leader improvvisato di partito-movimento ha propagandato che alla nostra nazione, stremata da un potere anchilosato, serviva una classe dirigente di incompetenti ma onesti. Questi “elevati” della politica, a differenza di Prezzolini, non hanno conosciuto Croce, che giustamente affermava, nel disprezzo di un mondo culturale omologato, che “è meglio un politico disonesto ma competente che uno onesto ma incapace”. Certo l’ideale sarebbe un politico onesto e competente. Ce ne sono. Pochi. In ogni caso brandire l’arma dell’antipolitica è pernicioso per il popolo italiota, intriso geneticamente di qualunquismo. L’uomo è invece, come dirà Aristotele, “zoon politikon”, animale politico, “physei”, per natura. Al punto che l’essere espulso dalla comunità politica di appartenenza, l’esser costretto all’esilio, per un Ateniese poteva essere peggiore della morte. Ce ne rende testimonianza Socrate nel suo discorso in tribunale. Anche per questo preferirà bere la cicuta piuttosto che alla sua età andarsene “ramingo di gente in gente”. Fatte le debite proporzioni anche i giornalisti locali, quelli che stanno in trincea, sfruttati e malpagati, non sono “equidistanti”. Possono essere, però, e alcuni lo sono, indipendenti. Io che sono un umile cronista di provincia mi ritengo tale. Sono antifascista, a favore dell’integrazione degli immigrati e per la tutela dei diritti civili. In un mondo globalizzato, con tutti i suoi limiti, lo slogan “prima gli italiani” mi fa ribrezzo. Per formazione culturale, frequentazioni, letture appartengo all’area politica della sinistra. Un’area, volenti o nolenti, oggi rappresentata in Parlamento dal partito democratico. Per carità nei due emisferi di Montecitorio e Palazzo Madama sono presenti forze politiche a sinistra del Pd. Ahimè, estremamente minoritarie. E in politica i numeri non sono tutto, ma contano. Se non foss’altro per il regime democratico e repubblicano che ci siamo scelti. Anche per questo sono un elettore dem. Per dirla con Pasolini, sono un elettore “critico”. Molti dei miei pezzi sono intrisi di accuse e attacchi, anche “violenti”, contro il Pd. Ma voto per i democrat perché ritengo l’avanzata delle destre pericolosa sotto il profilo culturale e, più pragmaticamente, dannosa per l’Italia. Nel 2022 uno Stato fondato sulla trinità Dio-Patria-Famiglia non solo è anacronistico ma ci porta fuori strada sul piano sociale ed economico. Se poi quelli che onorano Dio (quello cattolico, ovviamente) non vanno mai in chiesa, se i paladini della Patria non fanno gli interessi della nazione, e se i difensori della Famiglia (quella cristiana, manco a dirlo) divorziano con la leggerezza delle libellule allora a me non resta che stare, direbbe Brecht, dalla “parte sbagliata”. Perciò voto, con tutti i distinguo del mondo ma con convinzione, per il partito democratico. Sposare la causa dem specialmente in provincia di Caserta può ingenerare legittimi dubbi di masochismo. Da quando è nato il Pd di Terra di Lavoro è in stato permanente di guerra. Le correnti, sarebbe meglio dire le fazioni, sono l’una contro l’altra armate, per scomodare Manzoni. Sempre. E comunque. Sia quando il partito guidava Governo, Provincia e Regione (epoca Prodi). Sia quando sedeva tra i banchi dell’opposizione in tutte le sedi istituzionali (epoca Berlusconi). A Caserta non c’era mai pace sotto l’Ulivo. Sono passati decenni, tramontate Repubbliche (la prima e la seconda) ma l’unico comun denominatore del Pd casertano sono sempre state le faide interne. Immancabilmente fomentate dai dualismi.

Stefano Graziano

Per citarne alcuni, prima quello tra Stefano Graziano e Nicola Caputo (ora assessore regionale in quota Renzi), poi quello tra Pina Picierno e Camilla Sgambato, con le incursioni di Lucia Esposito, e adesso quello all’ultimo sangue tra Graziano e Gennaro Oliviero. I due “amici” di partito sono agli antipodi. Il primo è un fine (e astuto) politico. Il secondo un animale da voti. Ma a Graziano va riconosciuto il merito di non aver mai perso di vista la stella polare della “Politiké”. Sul questo terreno il capolista (già eletto) del Pd nel listino bloccato della Camera dei deputati nel collegio Caserta-Benevento possiede due-tre-quattro marce in più rispetto a tutti gli altri. In Campania è secondo solo a Vincenzo De Luca che è l’impersonificazione dello “zoon politikon”. Il presidente del consiglio regionale Oliviero invece mostra un vistoso impaccio quando si deve misurare con le categorie della politica. Non è per nulla stupido, sia beninteso. Ma, mentre Graziano ha frequentato le Alte scuole di De Mita e Follini, il dem Oliviero proviene dalla cultura politica socialista. Quella craxiana. Dove c’è un uomo solo al comando. Non a caso, prima del suo approdo al Pd, in provincia di Caserta il Psi si identificava con Oliviero. Erano di fatto la stessa cosa. Cioè non era lui che faceva parte del partito. Era lui il partito. Ed anche per questo suo retaggio ha perso miseramente la battaglia contro Graziano. Non ha capito, eppure era piuttosto chiaro, che l’indicazione del capolista dem alla guida della segreteria campana del Pd era emanazione diretta di Enrico Letta. Quando Oliviero e il beneventano Umberto Del Basso De Caro (politico navigato ma che con l’età ha perso colpi) hanno frapposto travi di fuoco all’elezione di Graziano a leader regionale non si sono resi conto che non stavano facendo la guerra a lui ma al segretario nazionale del partito. Uno che, all’apparenza pacato e sereno, direbbe Renzi, giustamente fa pesare il fatto, tutt’altro che secondario, di essere stato richiamato dalla Francia, dove si dedicava alla vita accademica, per risollevare le sorti di un partito morente, anche a Roma in preda ad accoltellamenti tra le diverse correnti.

Enrico Letta

Può piacere o no, Letta è riuscito nell’impresa impossibile di resuscitare un malato con l’encefalogramma piatto. Oggi il Pd si contende il posto di primo partito italiano con Fratelli d’Italia, salito alle stelle nei sondaggi per la rendita di posizione dovuta alla sua collocazione, unica forza politica, all’opposizione del Governo Draghi. Con il “no” a Graziano a segretario regionale Oliviero ha posto, da sé, una pietra quasi tombale sul suo futuro politico nel Pd. Direbbe il poeta: “chi è causa del suo mal pianga se stesso”. Se oggi Graziano guida la lista camerale bloccata nel collegio Caserta-Benevento il “merito” maggiore va ascritto proprio al presidente del consiglio regionale. Con Graziano leader campano dei dem Oliviero avrebbe avuto campo libero nella corsa verso il Parlamento. Letta, pragmatismo fatto persona, avrebbe avuto tutto l’interesse a candidare alle Politiche uno che alle ultime regionali ha ottenuto la bellezza di 20mila preferenze. Il segretario nazionale democrat, forse a malincuore, avrebbe chiesto a Graziano di dedicarsi al partito campano nelle vesti di leader regionale mettendo in campo Oliviero alle elezioni del 25 settembre se il capo del parlamentino campano avesse ragionato in termini politici senza farsi accecare dai personalismi. Ora, per dirla alla Lenin: che fare? Oliviero ha due strade davanti a sé: commettere altri autolesionistici errori politici oppure ragionare da “zoon politikon”. Se vuole continuare a sbagliare strategia resterà alla finestra in campagna elettorale. E si metterà, da solo, con un piede fuori dal Pd. Se farà ancora peggio cioè, come si vocifera, convoglierà le sue truppe cammellate a votare per il Terzo Polo di Calenda-Renzi politicamente si autodistruggerà. E addio partito democratico. L’altra opzione sul tappeto, seppur indigesta, gli darebbe invece l’abbrivio per ritornare in pista alla grande. Dovrebbe sedersi al tavolo con Graziano che, è d’uopo ripeterlo, ha ottenuto l’investitura romana di leader dei dem casertani. Oliviero dovrebbe affiancarlo con tutte le sue risorse, che sono molto consistenti, nella battaglia elettorale contro le destre. Farebbe finalmente la mossa giusta per sé e per la sua componente. E contribuirebbe fattivamente a rendere il Pd di Caserta centrale nello scacchiere politico regionale. Questo è il mio auspicio di elettore del centrosinistra. Unire le forze per evitare una deriva di destra in Terra di Lavoro e in Campania. Una iattura per tutti. Un salto nel vuoto per il territorio. Un omicidio politico.

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