di Mario De Michele

Le motivazioni alla base dell’ordinanza di custodia cautelare a carico di nove persone, tra politici, amministratori locali e imprenditori, sono state illustrate nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta martedì mattina alla procura di Napoli.

Presenti il procuratore capo Giandomenico Lepore, il numero uno del pool antimafia, Cafiero De Raho, e i vertici delle forze dell’ordine che hanno condotto le indagini sul presunto legame tra mondo politico e clan dei Casalesi. Al centro dell’inchiesta, come precisano gli inquirenti, c’è il consigliere regionale ed ex sindaco di Villa Literno, Enrico Fabozzi, arrestato, spiegano sempre i magistrati (come si legge su Il Mattino.it) perché “la condotta contestata si fonda sulla capacità del Fabozzi di influenzare la concessione di appalti e commesse pubbliche, in particolare a Villa Literno, e non può non rilevarsi che l’indagato non solo svolga ancora un ruolo politico di grande rilievo, quello di consigliere regionale, ma sia stato nuovamente eletto al consiglio comunale di Villa Literno, noncurante della parziale discovery effettuata nei suoi confronti con l’indagine Normandia II, di cui hanno dato conto anche i mezzi di comunicazione”.

Poi una frase ad effetto, molto efficace anche sotto il profilo mediatico: “Quella del Fabozzi sembra quasi una sfida alla giustizia con un irresistibile ritorno sul luogo del delitto”. Cafiero De Raho, invece, ha posto l’accento sulla solidità dell’impianto accusatorio, basato, come lui stesso ha detto, soprattutto sulle dichiarazioni dei pentiti (per il video clicca sul link in basso).

Bene. Anzi, male. Siamo di fronte ad accuse gravissime: un sindaco che avrebbe favorito i clan nell’aggiudicazione di appalti pubblici in cambio di voti. Nel massimo rispetto per il duro e rischioso lavoro dei magistrati antimafia napoletani, grazie ai quali il clan dei Casalesi ha subito pesanti colpi sia sul piano militare (arresti a raffica) che su quello patrimoniale (sequestri e confische per centinaia e centinaia di milioni di euro), mi permetto di fare alcune osservazioni rispetto al caso Fabozzi perché, da cronista nato, cresciuto e pasciuto nell’Agro aversano, credo di conoscere bene (sarà presunzione) terra di Gomorra (politici e amministratori inclusi).

E anche perché ho avuto modo di conoscere personalmente il consigliere regionale Fabozzi. Ho avuto il piacere e l’onore di collaborare con lui (fornendogli, con scarsi risultati, una consulenza professionale nell’ambito della comunicazione) e qualora mi fosse richiesto lo rifarei volentieri.

Faccio questa premessa per onestà intellettuale: credo sia giusto che i lettori sappiano che il mio giudizio su questa vicenda giudiziaria potrebbe essere condizionato da sentimenti di stima e affetto nei confronti dell’indagato; sentimenti che si sono rafforzati via via col passare dei giorni e dopo i pochi, ma intensi e appassionati, dialoghi e le fugaci chiacchierate.

In altre parole, in questa vicenda, sono di parte, totalmente schierato “dalla parte del torto”. Ed è giusto che si sappia. Come è giusto che si sappia che sull’innocenza di Enrico Fabozzi sono pronto a giocarmi la mia credibilità di cronista e osservatore (se prenderò una cantonata, vorrà dire che sarà giunta l’ora di cambiare mestiere). Sono però certo che continuerò a fare il giornalista perché non ho dubbi sul fatto che Fabozzi non abbia mai avuto rapporti con la camorra. Al punto che se lui stesso mi confessasse di aver favorito i clan, prima di credergli, gli consiglierei di sottoporsi a un’accurata visita psichiatrica per accertarmi se sia ancora in grado di intendere e volere.

La mia confessione di partigianeria non scaturisce soltanto da motivi di deontologia professionale, ma anche (sto utilizzando molti “ma anche”, sarà la sindrome di Veltroni!?) dalla necessità di non svilire ed esporre a strumentalizzazioni (che temo ci saranno comunque) le mie osservazioni in merito ad alcuni aspetti dell’inchiesta. Detto questo, veniamo al dunque.

Prima riflessione. Secondo l’accusa, Fabozzi sarebbe ancora in grado di “influenzare la concessioni di appalti” nel comune di Villa Literno per il “suo ruolo politico di grande rilievo”, non a caso è stato “nuovamente eletto al consiglio comunale”. Fatto sta che, se è vero che l’ex sindaco liternese è stato eletto consigliere (alle comunali dello scorso maggio), è altrettanto vero, e va detto, che la lista di cui faceva parte ha perso le elezioni (nettamente, tra l’altro) e che Fabozzi si è dimesso già nel corso della seduta di insediamento della nuova amministrazione.

Una domanda nasce spontanea: se Fabozzi è stato sostenuto dai Casalesi, e se i Casalesi hanno contribuito alle sue precedenti vittorie elettorali, come mai nelle ultime comunali la lista di Fabozzi è stata sonoramente sconfitta? E ancora: in che modo un consigliere d’opposizione, per giunta che si è dimesso, quindi un ex consigliere di opposizione, può condizionare l’assegnazione degli appalti pubblici? E poiché proprio la sua candidatura alle comunali sarebbe alla base dell’arresto in carcere, come hanno precisato i pm, per quale ragione Fabozzi ha deciso di candidarsi, visto che sarebbe in grado di pilotare gli appalti anche senza far parte del consiglio comunale?

Mi spiego meglio: Fabozzi è finito in carcere perché si è candidato ed è stato eletto consigliere a Villa Literno, però la sua lista ha perso, in più lui si è dimesso dalla carica di consigliere, nonostante ciò avrebbe avuto comunque il potere di condizionare le gare d’appalto, cioè – sostiene l’accusa – avrebbe potuto influenzare anche da “fuori” l’attività amministrativa, per cui era inevitabile l’arresto in carcere. Allora ripeto la domanda: se poteva pilotare gli appalti anche senza candidarsi perché si è candidato? Forse per il gusto di perdere? Chissà.

Bisogna aggiungere un’altra considerazione: se fosse fondata l’accusa dei pm, l’attuale amministrazione comunale di Villa Literno sarebbe di fatto a sovranità limitata, o peggio condizionata da un politico che avrebbe legami con i Casalesi. Una ricostruzione un po’ azzardata. Per capirlo basterebbe farsi un giro a Villa Literno e chiedere a qualsiasi cittadino come sono i rapporti, politici e personali, tra gli esponenti della maggioranza e quelli dell’opposizione, o più precisamente tra l’attuale sindaco e gli assessori e Fabozzi.

Passiamo alla colorita frase degli inquirenti in riferimento alla decisione del consigliere regionale alle comunali del maggio scorso: “Quella del Fabozzi sembra quasi una sfida alla giustizia con un irresistibile ritorno sul luogo del delitto”. Come a dire: candidarsi è un reato. Oppure è la dimostrazione della volontà di reiterare un presunto reato. O ancora, è un affronto alla magistratura, per cui, già questo, cioè candidarsi, è sufficiente per finire in cella, è un motivo valido per chiedere e ottenere l’arresto in carcere.

Sono fazioso? Sì. Di parte? Anche. Amico di Fabozzi? Certo. Ma chiedo ai lettori un piccolo sforzo: sorvolate sui miei commenti, anzi fate conto che le mie osservazioni siano completamente da cestinare, però soffermatevi sui fatti qui riportati (tutti verificati e verificabili) e giudicate voi se avete perso tempo a leggere un articolo del solito giornalista venduto, amico di un politico-potente, oppure se forse qualche dubbio possa sorgere, anche tra gli ex amici e i nemici politici di Fabozzi.

Ai magistrati di Napoli il mio sincero ringraziamento per il loro lavoro quotidiano contro la camorra – svolto con una cronica e inaccettabile carenza di mezzi e uomini – e l’invito a non mollare nonostante una parte della politica faccia di tutto per ostacolare la loro attività, ma sono convinto che in questa vicenda giudiziaria abbiano preso una cantonata.

Il consigliere regionale Enrico Fabozzi non ha mai stretto un patto con i Casalesi. Ci metto mani e piedi sul fuoco. E come ho già detto, se prenderò io una cantonata, vorrà dire che è giunta l’ora di cambiare mestiere. Ma scommetto che continuerò a fare il giornalista.

 

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