di Mario De Michele

Ho capito di assistere a un momento storico per l’Italia alle 19.22 di sabato 12 novembre 2011 (in questi casi ora e data sono d’obbligo). Ho acceso la tv all’imbrunire di una giornata trascorsa tra uno scatto e l’altro della serratura della porta del bagno di casa.

Ero lì lì per battere il mio record personale di evacuazioni da influenza intestinale, quando le telecamere di Sky Tg24 hanno immortalato il coro degli antiberlusconiani, schierato al gran completo davanti a Palazzo Chigi in attesa dello sfratto del premier. Un lunghissimo, lento, piano sequenza accompagnato dal soave e liberatorio: “Alleluia, alleluia, aaallleluuuiaaa”. Piazza Colonna è uno spettacolo.

Tenendomi la pancia dolorante con le mani, mi sono detto: “Così va la vita, loro – giovani, donne, anziani, bambini – a Roma a cantare in coro, e all’aria pura, parole di giubilo per la liberazione dell’Italia dalla dittatura del bunga bunga, io – costretto a casa, anzi in bagno – a sibilare gemiti di sofferenza per la liberazione del mio intestino”.

La conferma che stessi partecipando a un avvenimento storico è arrivata da mia moglie. “Cambia l’aria”, la sentivo urlare. “Cambia l’aria”, ancora più forte. “Cambia l’ariaaa”, si sgolava, mentre io cercavo, a fatica, di non distogliere l’orecchio dal coro alleluiano degli antiberlusconiani, sopraffatto però dal rumore dello sciacquone e dalla voce, divenuta perentoria, della mia dolce compagna. “Ho capito, finalmente in Italia cambia l’aria”, le rispondo dalla toilette. “Come sempre – chiarisce lei – non hai capito un cavolo (è la traduzione per i minorenni), cambia l’aria nel bagno, altrimenti moriamo soffocati, io mi preoccupo per me non per te, sia chiaro”. Che bella mogliettina.

L’equivoco olfattivo non ha tolto nulla all’atmosfera magica di quel sabato sera del 12 novembre 2011. Anzi, dopo l’ennesima operazione di espulsione di materiale organico dal mio corpo sempre più provato (credetemi!), mi sono reso conto che ero ormai a un passo dall’appuntamento con la storia.

Le rassicuranti immagini della corale dell’alleluia sono state ben presto soppiantate da statici e febbrili primi piani di giornalisti sempre più eccitati, affannati, incalzanti. Una raffica di condizionali sparati senza pietà: “Berlusconi dovrebbe recarsi al Quirinale alle 20.30 per rassegnare le dimissioni”; e ancora: “Nel pomeriggio si sarebbe svolto un altro incontro tra il premier uscente e il premier incaricato sui membri (argomento molto delicato) del nuovo governo”; oppure: “L’Idv potrebbe appoggiare l’esecutivo, mentre la Lega dovrebbe stare all’opposizione”.

Su quest’ultimo condizionale le mie anse intestinali hanno ceduto di nuovo. La tappa al bagno è stata fulminea – ho corso come Ben Johnson dopo una mega-puntura di steroidi anabolizzanti -, ormai non potevo perdermi neanche un secondo, con tutti quei “condizionali d’obbligo” ero a caccia di qualche certezza. Fremevo perché nella girandola dei forse e dei probabilmente roteavano all’impazzata i nomi dei nuovi ministri: “Tabellini all’Economia”. Mai scelta fu più azzeccata. “La Bonino alle Politiche comunitarie”. Finalmente una donna con le palle. “Amato agli Esteri”. Tra tanti sconosciuti un volto noto ci voleva proprio. In lizza, con molti altri giovani, anche il professor Veronesi (sì, proprio lui, quel sant’uomo che sta sulle palle a Beppe Grillo).

Mentre sto accarezzando il sogno di un’Italia diversa, perché il nuovo governo sta nascendo sotto una buona stella, quella del cambiamento, arriva anche la notizia, “dovrebbe essere ufficiale”, delle dimissioni del Cavaliere. “Alleluia, alleluia, aaallleluuuiaaa”, cantano davanti a Palazzo Chigi, ma ora nessuno se li fila. Prima, durante e dopo il momento fatidico dell’addio definitivo(?) – tra i tanti condizionali un punto interrogativo fa sempre la sua sporca figura – di Berlusconi alla scena politica, ho tentato invano di scampare all’incessante bombardamento di politici, politologi. commentatori, editorialisti, esperti, analisti. Tutti uniti appassionatamente: “Mario Monti è l’uomo giusto al posto giusto”. “Finalmente anche l’Italia avrà un governo credibile”. “Non si poteva perdere altro tempo, serviva una svolta, uno scatto”.

Non è mancato qualche battibecco tra i giornalisti di vecchio pelo. A chi, con spiccata arguzia, faceva notare che “il Cavaliere era già da tempo politicamente morto”, Vittorio Feltri ha risposto con tono macabro sottolineando che “non è morto il Cavaliere, ma il cavallo”.

Tra una disamina storico-socio-economico-antropolitologico-fisiognomica e la critica spietata di un agguerrito manipolo di parlamentari della Lega alla scelta del commissario tecnico Prandelli di schierare in attacco il duo Balotelli-Osvaldo, considerati “immigrati clandestini da rimpatriare”, sui teleschermi sono andati in onda alcuni momenti della giornata del capo dello Stato. Intento a osservare con inusitata attenzione un dipinto appeso da soli cinque anni alle pareti del suo studio al Quirinale (come se si chiedesse, tra sé e sé, “che cazzo fingo a fare di guardarlo con interesse visto che sono almeno cinque anni che è appeso alle pareti?!”), il presidente Napolitano si gode il meritato riposo per aver salvato l’Italia, indicando Monti senza promettere mari.

Alla pari del nonno di Harry Potter, il capo dello Stato ha compiuto un vero e proprio prodigio: con la nomina di Monti a senatore a vita ha trasformato il futuro governo da tecnico a politico, così, con un colpo di bacchetta magica. L’immagine bucolica del capo dello Stato è stata rovinata dal raid teppistico, di cui lui stesso si è scusato, del leader(?) del Popolo Viola, Gianfranco Mascia, in piazza del Quirinale. “Abbiamo accolto l’arrivo di Silvio Berlusconi con un lancio di monetine. E’ stato un gesto spontaneo dei cittadini. Oggi è la liberazione dell’Italia”. Mascia, Mascia, troppa enfasi, c’hai messo troppa enfasi, e io, da buon’italiota, ti ho preso alla lettera: “Sì, è la liberazione dell’Italia e degli italiani”. E via di corsa in bagno per la mia liberazione. Un’altra.

Devo però ammettere che il colpo letale (o letame?) alle mie viscere lo ha assestato il “Pierluigi nazionale” Bersani, che ha avuto lo stomaco di ricordare, guardando dritto verso la luce rossa delle telecamere, che “noi (loro, il Pd) abbiamo buttato giù Berlusconi”. L’ha precisato, l’ha ripetuto, l’ha scandito. E ogni volta alzava la voce di un tono, forse nella speranza che nella confusione si potesse dire qualsiasi stronzata. Tentativo fallito. Lui stesso si è poi reso conto che non basta vivere in Italia per consentirsi sempre il lusso di dire tutto e il contrario di tutto. Alla lunga anche qui da noi le stronzate hanno un limite.

Il rinsavimento di Bersani è durato un battito di ciglia. Da indiscusso leader (a vita) dell’opposizione (a vita), il numero uno del Pd (figurarsi com’è ridotto il numero dieci) ha indossato i panni dei “responsabili” (nel frattempo quelli “veri” sono ritornati irresponsabili come e più di prima, vedi Scilipoti) descrivendo Monti come il Messia, l’uomo chiamato dal Signore (Napolitano) per salvare l’Italia dal baratro del fallimento. Panico nella base Pd: “Pierluigi, non esagerare, se continui così, finisce che salviamo l’Italia ma facciamo fallire di nuovo il Pd”.

“Staremo all’opposizione”, non ha peli sulla lingua Bossi, che nonostante la pulizia orale non riesce a farsi comprendere, dai suoi e dagli altri (è molto più bravo a gesti). Per fortuna è intervenuto Maroni: “La Lega non farà parte del nuovo governo”. A stretto giro la precisazione del Senatur: “L’ho detto prima io”. Immediata la replica dei suoi e degli altri: “Sì, ma non si era capito nulla”.

Nella mischia si è gettato anche Di Pietro: “Monti è espressione delle lobby affaristico-finanziarie”. Poco dopo: “L’Idv potrebbe appoggiare il governo Monti”. Di nuovo: “Monti è un tecnocrate fascista”. E ancora: “Ci serve un premier credibile, Monti è una garanzia”.

Temendo di essere scavalcato a destra, al centro, e a sinistra dal suo principale alleato, Bersani è corso ai ripari: “Monti è tutto e niente. Vi ho fregato, ora vediamo di finirla”. Nel frattempo, è scoppiata l’indignazione del popolo italiano contro l’ormai ex premier. In ogni regime che si rispetti la fine del dittatore segna l’inizio della democrazia. E così, gli italiani sono scesi in piazza per respirare l’aria della libertà. Caroselli, striscioni, monetine contro il sultano che per quasi 20 anni li ha costretti a bere litri e litri di olio di ricino.

Sotto la dittatura berlusconiana, i cittadini-telespettatori non erano liberi di guardare alla tv i film di Eisenstein o dei fratelli Dardenne (le cui opere venivano proiettate in segreto – e guardate da milioni di persone – da impavidi cinefili), erano vietati i concerti jazz e di musica classica, non si tenevano mostre d’arte, era proibito leggere libri, giornali, fumetti, le frasi dei Baci Perugina. Per gli italiani è stato un ventennio terribile: tutte le sere a guardare il Grande Fratello, ogni Natale al cinema per vedere sempre lo stesso film di Natale, ogni giorno in poltrona a casa a guardare odiose trasmissioni per intellettuali e radical-chic come “Amici”, “Parenti”, “Affini”, “Consanguinei”, “Amici vicini e lontani”, “Parenti, serpenti”; o peggio costretti ad assistere a impegnativi dibattiti televisivi sui temi della giustizia sociale, “Forum”, o della sessualità nell’era tecnologica, “Uomini e donne”.

Le strette maglie della repressione di Stato hanno soffocato i giovani nella morsa di una macchina infernale, Facebook, inventata dal Cavaliere per imporre alle nuove generazioni solo i valori, ritenuti dal potere politico, sani e condivisi. Non a caso, termini come “condividi” e “mi piace” fanno ormai parte del consolidato patrimonio culturale e sociale degli under 35. Contro questo e tanto altro ancora (consumo di droghe, pedofilia, criminalità organizzata, tangenti) hanno idealmente manifestato in piazza Colonna e davanti al Quirinale milioni di persone, al grido di “Vattene, buffone”, rivolto a Belzebù-Berlusconi.

E poiché l’Italia non può restare per sempre il paese di Pulcinella (o no?), è giunta l’ora di dire basta alle buffonate e di fare largo al giovane Mario Monti (69 anni il prossimo 19 marzo, un infante per l’anagrafe della nostra politica). Solo così l’Italia ritornerà sui binari della meritocrazia, della giustizia sociale, della sanità e della scuola pubbliche, dell’aumento delle pensioni sociali, del salario minimo garantito, della tutela del mondo del lavoro, delle pari opportunità per le donne e le fasce deboli.

Del resto, se queste cose non le fa Monti, che tra i due-trecento incarichi che ricopre o ha ricoperto, è tuttora presidente europeo della Commissione Trilaterale, un gruppo di benefattori di orientamento neoliberista fondato nel 1973 da, udite udite, David Rockefeller, a tutti noto come il paladino della teoria economica “mangio io, che mangi tu”, basata sulla equa redistribuzione della ricchezza. Stesso filone sociale, economico e culturale seguito da Mediobanca, cristallino esempio di finanza etica, da sempre in campo a difesa dei poveri. Tutti in Italia, quando hanno problemi di soldi, si rivolgono con successo a Mediobanca, o in alternativa alle mafie o agli usurai (con risultati pressoché identici).

Sono le 3 e 22 di domenica 13 novembre 2011 (in questi casi ora e data sono d’obbligo), io non ho più dubbi: ho assistito, tra una corsa in bagno e l’altra, a un passaggio storico per il Belpaese. Sky Tg24 sta ancora trasmettendo l’interminabile sequela di commenti e ipotesi sul futuro. Ascolto seduto sul water. Mi passa per la testa un paragone indecente: il mio intestino assomiglia all’Italia, è sulla strada del miglioramento, e forse già domani starà molto meglio.

Quando esco dal bagno sta parlando un politico di centrosinistra. Dice che serviranno “misure economiche drastiche”, che i “prossimi mesi saranno duri e all’insegna di grandi sacrifici”, ma non si può fare altrimenti, “bisogna adottare provvedimenti impopolari per il bene del popolo”.

Incrocio lo sguardo di mia moglie. Stiamo pensando la stessa cosa, ma non abbiamo il coraggio di dirlo: “Mica stiamo assistendo alla solita storia di merda?”.

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