di Pasquale Iorio* Raffaele Cantone ha fatto bene a sollecitare i sindaci, i rappresentanti dei comuni e degli altri enti istituzionali di Terra di Lavoro per adeguare i loro servizi e strumenti di informazione e di comunicazione. Ha toccato uno dei punti cardini che condiziona la vita democratica e la partecipazione dei cittadini sul nostro territorio: lo stato di arretratezza e di burocratizzazione in cui versa gran parte della nostra pubblica amministrazione. A ben vedere si tratta in primo luogo di un gap culturale, prima ancora che di volontà politica in quanto l’innovazione non viene colta come obiettivo prioritario su cui far leva, su cui investire risorse, in primo luogo nella formazione di adeguate competenze e conoscenze – a partire da quelle degli addetti nel settore terziario. Tutto questo produce un forte handicap anche per far sviluppare quelle forme di partecipazione che spesso vengono sollecitate dal mondo del terzo settore e del volontariato, in attuazione di uno dei nuovi principi costituzionali, quello della sussidiarietà. Certo bisogna partire dal dato che con le nuove norme anticrisi molti costi e disagi vengono scaricati sugli anelli più deboli del sistema, a partire dai comuni e dai vari ambiti per le politiche sociali. Ma si potrebbero sperimentare delle forme nuove di collaborazione, come quelle avviate in alcune realtà con l’adozione del protocollo per la gestione condivisa e partecipata dei beni comuni (a partire da quelli più abbandonati, spesso poco o male utilizzati), con l’apporto delle risorse umane e competenze disponibili nel mondo del terzo settore. In Italia ci sono esperienze avanzate, come quelle di Bologna con il supporto di Labsus. In provincia di Caserta alcuni comuni hanno avviato il percorso, ma sono ancora pochi e manca una chiara volontà della Giunta del Capoluogo. La pubblicazione dei bilanci e degli atti più sensibili farebbe diventare i vari enti delle case di vetro, più accessibili ed attraenti per i bisogni dei cittadini. Ma andiamo a vedere quanti comuni lo fanno. Da poco hanno avviato percorsi alcuni enti come la ASL, ma siamo ai primi passi. E se andiamo a verificare quante biblioteche, musei, centri e luoghi di prestigio culturale sono connessi in rete, con i cataloghi consultabili on line avremmo altre sorprese spiacevoli: solo pochi casi, tra cui spicca quello del Museo Campano. Se poi andiamo a visitare i siti Internet dei comuni ci appare un altro scenario desolante. Sono alcuni si caratterizzano per la ricchezza ed attrattività dei contenuti, con dati ed informazioni per conoscere la storia e l’identità dei vari territori. Per il resto troviamo una noiosa e fredda lista di servizi burocratici offerti (a volte anche di difficile accesso). E’ proprio il caso di dire che da qui dovrebbe partire una vera e propria rivoluzione culturale con una grande campagna di orientamento e di apprendimento nell’uso delle tecnologie e per la formazione delle moderne competenze per la loro gestione. Su questo dovrebbe misurarsi la politica: la democrazia vive di regole (come le primarie che assorbono tutta l’attenzione del PD) ma si nutre e si alimenta soprattutto di contenuti e valori forti, capaci di cogliere le trasformazioni e di rispondere ai bisogni emergenti nelle vari comunità. In questo modo si lottano anche quei comportamenti degenerativi che portano alla corruzione ed al prevalere di forme mafiose di gestire i beni di pubblica utilità. Da dove partire? Ancora una volta dalla scuola e dalla formazione per i giovani, dalla cultura come fattore di coesione e riscatto sociale. Non ci sono scorciatoie. Per le nostre classi dirigenti proponiamo di fare ricorso ad un metodo, quello indicato da Gramsci contro la dittatura fascista: l’ottimismo della volontà ed il pessimismo dell’intelligenza.

*Portavoce FTS Casertano

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