di Riccardo d’Antonio L’ossessione collettiva, sia del governo sia dei cittadini, ultimamente è diventata la crescita: dopo aver passato tormentosi mesi a pensare allo spread, ormai non passa giorno senza che ci sia qualche dichiarazione o convegno o manifestazione (di ogni colore ed estrazione) che promuova la “crescita”.

Naturalmente, come per lo spread, se la situazione non fosse così grave, ci sarebbe da divertirsi sentendo e leggendo tutte queste voci in generale dissonanti, ognuna che cerca di tirare acqua al proprio mulino, ma concordi nel richiedere più risorse, quasi come i cori da stadio chiedono al presidente De Laurentiis di mettere mano al portafoglio per rinforzare il Napoli. In verità il problema è proprio il contrario: bisognerebbe invocare a gran voce e con veemenza una drastica riduzione della spesa pubblica, in un paese in cui essa ha raggiunto oltre il 50% del PIL. Ma è possibile che arrivati ormai alla soglia della terza repubblica non ci si sia resi conti che la crescita ipertrofica della spesa pubblica è stata la causa principale dell’attuale situazione? Spese folli e spesso ingiustificate, denaro pubblico elargito senza alcun criterio di merito o, men che meno, di pubblica utilità, inefficienze e strozzature tollerate a meri fini clientelari, e l’elenco sarebbe ancora lunghissimo, ma ciò nonostante anche questa settimana ho letto che il ministro Passera promette 100 miliardi di Euro per opere pubbliche (!?)….Per carità!

 

Il vero problema oggi è cercare di ritornare su un sentiero di crescita senza ulteriormente zavorrare la spesa per consumi, ormai ridotta al lumicino, e cercando di ridurre il carico fiscale sulle aziende, ormai in equilibrio molto precario. E’ chiaro che non è semplice, visto anche il perenne conflitto di interessi tra tutte le categorie coinvolte (politici, dipendenti pubblici, lavoratori autonomi, imprenditori, etc.), ma proprio alcuni di questi conflitti, gestiti correttamente, potrebbero fornire la spinta propulsiva per innescare un ciclo virtuoso. In effetti, come è stato dimostrato dalla prova dei fatti, ultima la misera figura offerta dal governo Monti col decreto liberalizzazioni, cercare di scalfire rendite di posizione ormai consolidate, per giunta in un momento di grave crisi economica, provoca la difesa con le unghie e con i denti delle stesse da parte degli interessati, visto che da esse dipende la possibilità di “sostentarsi”. La sfida ovviamente consisterebbe nel rimuovere questi colli di bottiglia, fornendo un’equa compensazione agli interessati (ove socialmente accettabile) e ampliando così l’offerta economica per la collettività.

Mi vorrei limitare solo ad alcuni esempi, che mi sembrano abbastanza semplici da attuare e che potrebbero funzionare senza troppe complicazioni.

1)     I taxi. I tassisti sembrano essere diventati il simbolo di tutti i mali che affliggono l’Italia: i loro servizi sono scadenti e troppo cari e quindi sarebbe necessario estendere il numero delle licenze per aumentare la concorrenza. D’altro canto i tassisti rivendicano un risarcimento per la perdita di valore della licenza spesso acquistato a caro prezzo. Come si può uscire da questo rompicapo? Io proporrei di imporre per legge la chiusura al traffico automobilistico privato del centro delle principali città, in questo modo non solo si migliorerebbe la vivibilità delle nostre metropoli, probabilmente si ridurrebbe l’inquinamento, il trasporto pubblico ne trarrebbe beneficio, sia in termini di maggiori introiti che di efficienza, e ai tassisti si garantirebbe un aumento della richiesta dei loro servizi, che compenserebbe e giustificherebbe in qualche modo il maggior numero di licenze.

2)     Le assicurazioni. L’RCA è un altro dei problemi che affliggono i consumatori italiani, che vedono di anno in anno lievitare i costi delle polizze, per diversi motivi sui quali non mi dilungo. Tuttavia, vista anche la difficoltà delle finanze pubbliche locali, comuni in primis, perché non concedere una licenza assicurativa di tipo mutualistico alle amministrazioni locali (comuni più grandi o aggregati di comuni), in modo che esse possano garantire prezzi più bassi agli assicurati o, alternativamente, utilizzare i profitti per finanziare opere pubbliche necessarie senza ricorrere a ulteriori tributi? Le amministrazioni locali, potrebbero anche vigilare meglio sui propri assicurati e cercare in questo modo di combattere il fenomeno delle truffe.

3)     Costruzioni. Il settore delle costruzioni è uno dei più ciclici, ma anche uno dei settori con maggiori ritorni sia in termini di occupazione che di valore aggiunto. Naturalmente è anche un settore in cui si è assistito ad abusi e comportamenti poco “civili” nel corso degli anni. Perché non reindirizzare questa capacità produttiva a rendere energeticamente efficienti (o addirittura auto-sufficienti) le nostre abitazioni, edifici pubblici e luoghi di lavoro? Ne conseguirebbe un immenso serbatoio di commesse, ma anche un ritorno in termini di risparmio energetico (tema fondamentale visto che continuiamo a dipendere in maniera preponderante da risorse fossili straniere per il nostro fabbisogno)

Si potrebbe continuare per ore e pagine intere, ma invece di dilungarmi vorrei sottolineare come servano più idee per alimentare la crescita che soldi pubblici (anche perché questi se non sono già finiti saranno sempre meno) e soprattutto che senza porsi obiettivi ambiziosi per la crescita si rischia di far trovare un’intera generazione senza prospettive di auto-realizzazione e con una situazione sociale senza equità e sempre più esplosiva.

 

Riccardo D’Antonio

dantonio@campanianotizie.com

 

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