Nemmeno il tempo di pubblicare il provvedimento in Gazzetta Ufficiale, che già si annunciano modifiche alla stretta sulla cessione dei crediti del Superbonus. La norma anti-frodi spuntata all’ultimo minuto nel testo approvato in consiglio dei ministri venerdì scorso, è finita sotto il mirino incrociato di buona parte dei partiti della maggioranza di governo. In Senato, dove il provvedimento inizierà il suo iter di conversione, si annunciano già modifiche. Di certo la norma sarà “ammorbidita” prevedendo un periodo transitorio più lungo. Ma andiamo con ordine. Da tempo l’Agenzia delle Entrate aveva segnalato che sulla cessione dei crediti derivanti dai bonus edilizi si stavano moltiplicando a dismisura le frodi. Lo stesso presidente del Consiglio, Mario Draghi, aveva spiegato che le frodi «individuate» ammontavano già a 4 miliardi di euro. Nelle settimane scorse le indagini della magistratura e i sequestri della Guardia di finanza, avevano portato alla luce una serie di meccanismi utilizzati per incassare dei crediti inesistenti. Un’indagine della procura di Roma, poi trasferita a Foggia per competenza, aveva rivelato un giro di crediti inesistenti di 1,250 miliardi di euro. La procura di Napoli, in una volta sola, ne aveva individuati altri 110 milioni. Il meccanismo consisteva, in entrambi i casi, in trasferimenti dei crediti tra diversi soggetti, prima di arrivare a scontarli presso gli intermediari finanziari. Proprio per questo il governo ha deciso di intervenire consentendo un unico passaggio: dopo lo sconto in fattura concesso al cliente, l’impresa può a sua volta cedere il credito solo a un istituto bancario. Nessun altro passaggio di mano è consentito. Tutti i contratti stipulati dopo il 7 febbraio che violano questa norma, dice il decreto del governo, vanno considerati nulli. Proprio il termine del 7 febbraio è quello che potrebbe essere allungato nel passaggio parlamentare per dare più tempo alle imprese di adeguarsi ed evitare problemi di liquidità.

«Lavoreremo per cambiare la norma in Parlamento», ha detto la presidente della Commissione Attività produttive della Camera, la Dem Martina Nardi. Ma anche Forza Italia, la Lega Nord, Fratelli d’Italia e il Movimento Cinque Stelle hanno annunciato emendamenti per correggere il tiro. Insomma, difficile pensare che il meccanismo introdotto dal governo possa uscire indenne dal passaggio parlamentare. Della stretta si sono lamentati anche i costruttori dell’Ance, che hanno chiesto uno «stop alle modifiche continue», e la Confedilizia, che per bocca del presidente Giorgio Spaziani Testa ha sottolineato come la modifica «mette i bastoni fra ruote anche a chi non ha alcuna intenzione di fare frodi». La cancellazione della cessione multipla dei crediti potrebbe però dare una mano al governo su un altro fronte, quello europeo. Sul superbonus resta infatti pendente il giudizio di Eurostat: nel giugno scorso la direzione statistica della Ue aveva provvisoriamente accettato di contabilizzare la misura come riduzione di entrata pluriennale per lo Stato, definendola però un “caso limite” e riservandosi un successivo approfondimento. Proprio la possibilità di usufruire dell’agevolazione come credito d’imposta faceva infatti ipotizzare che potesse essere considerata in gergo tecnico “payable” e quindi di fatto una spesa destinata a scaricarsi tutta intera sul deficit e sul debito: non più per quote annuali ma direttamente nel primo anno. Un trattamento contabile del genere avrebbe naturalmente effetti pesanti sui conti pubblici del nostro Paese, visti gli importi in gioco. Nella comunicazione europea inviata all’epoca all’Istat la possibilità di cessione multipla veniva individuata come la caratteristica che avrebbe potuto far scivolare la decisione finale verso il concetto di “payable”: questo perché il passaggio tra soggetti diversi dà di fatto la possibilità di esaurire in tempi rapidi l’intero credito anche in caso di “capienza” solo parziale di alcuni degli interessati. Toglierlo di mezzo renderebbe quindi più difficile una bocciatura da parte di Eurostat.

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