Il miglioramento del quando dell’epidemia Covid, con il calo dei contagi e la diminuzione della pressione ospedaliera, e i buoni risultati raggiunti con la campagna vaccinale (affiancata all’obbligo per gli over 50), sta spingendo il governo alla scelta di non prorogare lo stato di emergenza oltre la sua scadenza fissata al 31 marzo. A quel punto l’intera pratica della gestione della pandemia tornerà entro i canali ordinari. Cosa succederà con lo smart working. Fino al 31 marzo tutte le aziende hanno usufruito della possibilità di ricorrere al lavoro da casa senza un accordo individuale tra imprese e lavoratori. Le parti sociali hanno chiesto l’innesto di una nuova formula ibrida che non preveda solo il lavoro in presenza e neppure solo quello da remoto. E il ministro del Lavoro Andrea Orlando si è detto pronto a confermare il meccanismo semplificato di comunicazione dello smart working. Dal 1° aprile i datori di lavoro potranno quindi ricorrere agli invii massivi, invece di dover scansionare e trasmettere ciascun accordo individuale. «L’obiettivo condiviso è quello di semplificare la complessa procedura individuata dall’articolo 23 della legge 81 – ha spiegato al Sole 24 ore Pasqualino Albi, ordinario di diritto del Lavoro all’università di Pisa e consigliere del ministro Orlando – considerando che il lavoro agile non rappresenta un nuovo contratto di lavoro, ma una modalità di esecuzione di un contratto già in essere. L’orientamento del ministero è di consentire, anche dopo il 31 marzo, una procedura di comunicazione semplificata, sul modello degli invii massivi consentiti durante lo stato d’emergenza. In pratica, si torna all’accordo individuale, ma semplificando le procedure, anche in caso di rientro dal lavoro agile al lavoro in presenza».

Per chiudere l’accordo e mettere in pratica il nuovo sistema Albi ha sottolineato che «si sta valutando di utilizzare il primo veicolo normativo disponibile, per presentare un emendamento e modificare le procedure previste dall’articolo 23, dopodiché servirà un decreto ministeriale, l’obiettivo è intervenire entro il 31 marzo». Dopo i numeri record del primo lockdown nel 2020 in cui il lavoro agile è stato in molti casi l’unico mezzo per permettere di far funzionare gli uffici sia nel pubblico sia nel privato la tendenza del 2021 ha portato ad una stabilizzazione della quota di lavoro agile. In base ai dati riportati nella ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, nel post pandemia saranno circa 4,4 milioni i lavoratori che utilizzeranno il lavoro agile «di cui 2,03 milioni nelle grandi imprese, 700mila delle PMI, 970mila nelle microimprese e 680mila nella PA». Non c’è dubbio che il lavoro agile, lo smart working, abbia rappresentato uno strumento importante anche dal punto di vista della tutela sanitaria. Soprattutto quando non c’erano i vaccini o non avevamo cure, le misure non farmacologiche hanno rappresentato l’unico argine per contenere il contagio. Abbiamo fatto un uso massiccio di questo strumento, ora bisogna immaginare un suo utilizzo intelligente per il futuro, in una stagione in cui non avremo più pressioni ed esigenze di una rottura delle relazioni sociali, come è avvenuto nella primissima fase. Questo strumento va affinato e utilizzato». Così il ministro della Salute Roberto Speranza, nel suo intervento al digital talk dal titolo ‘ Smart è, chi Smart fa’, promosso dalla Flepar, la Federazione dei professionisti delle amministrazioni della Repubblica.

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