I rincari della benzina sono davvero esagerati o sono la diretta conseguenza degli effetti (inevitabili) dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia? Per capirlo bisogna osservare, senza pregiudizi, quanto è accaduto sul mercato del petrolio e su quello al distributore dei carburanti negli ultimi sei mesi. Un periodo che ha visto forti oscillazioni, con la principale fase di ribassi durata da fine ottobre a tutto novembre e con rialzi rilevanti nei mesi di dicembre e gennaio, prima cioè che la guerra divampasse. Ebbene: sia nella fase di contrazione dei prezzi, sia in quella di rialzi ci sono volute tre settimane perché il prezzo del Brent facesse sentire i suoi effetti alla pompa. Ma anche se la correlazione tra oro nero e carburante è evidente, è sempre difficile confrontare prezzi presentati in modo così diverso, sia nella forma (dollari al barile contro euro al litro) sia per l’effetto non marginale delle imposte. Per rendere il confronto omogeneo, nel grafico in pagina sono riportati da un lato il solo prezzo industriale della benzina (senza quindi l’accisa, rimasta fissa a 0,7284 euro al litro, sia l’Iva, pari al 22% della somma di prezzo industriale e accisa) e dall’altro lato il prezzo del petrolio Brent, convertito però dal tradizionale valore in dollari al barile in quello omogeneo di euro al litro, tenendo conto del fatto che in un barile entrano 159 litri e del cambio euro/dollaro, che ha visto in questi mesi un lento rafforzamento della valuta statunitense. La differenza è piuttosto stabile nel tempo a quota 25-27 centesimi di euro, confrontando il prezzo industriale al distributore con quello del Brent di tre settimane prima. Poi, con lo scoppio della guerra, il Brent è schizzato da 90 verso i 120 dollari al barile ma la fiammata è durata una settimana soltanto, quindi avrebbe potuto essere assorbita; invece il margine dei petrolieri è passato dai 27 cent di fine febbraio a 35 centesimi il 7 marzo e a 51 cent nella rilevazione del 14 marzo, con il prezzo finale della benzina self service ormai a 2,2 euro al litro.

Intanto però c’è una buona notizia: l’accordo bilaterale con il governo tedesco: Berlino verrà in soccorso dell’Italia in caso di estrema difficoltà con i rifornimenti di gas. E lo stesso farà l’Italia. A firmare l’intesa saranno i ministri Roberto Cingolani e Robert Habeck il 29 marzo, nella capitale tedesca a margine dei Berlin Energy Transition Dialogues. La buona notizia è doppia visto che il lavoro del governo italiano per diversificare gli approvvigionamenti di gas, tra Qatar, Algeria, Angola Congo sta dando i suoi frutti: 20 miliardi di metri cubi in arrivo. «Anche una completa interruzione dei flussi dalla Russia tra circa un mese non dovrebbe comportare problemi di fornitura interna», ha annunciato il ministro Cingolani al Senato. La cattiva notizia è che, se non arriverà un tetto ai prezzi europei all’attenzione di Bruxelles, per metterci al sicuro per il prossimo inverno, portando gli stoccaggi al 90%, l’Italia e i suoi gruppi importatori dovranno pagare cifre folli: si tratta di anticipare circa 15 miliardi di euro per 10 miliardi di metri cubi di gas, rispetto ai 3 miliardi pagati l’anno scorso per lo stesso quantitativo di gas, ha spiegato il ministro. Si è passati da 30 centesimi a 1,5 euro. Qualcosa di impensabile che tocca anche altri Paesi europei. «Forse non mi sono espresso con termini giuridicamente corretti», ha precisato Cingolani riferendosi alle accuse dei giorni scorsi contro la speculazione, «ma non è possibile che mi costi cinque volte di più se la materia è la stessa».

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