Una nuova stretta. Questa volta draconiana. Sui superbonus edilizi il governo prova a chiudere i cancelli alle frodi. Ma il rischio è che molti buoi siano già scappati. Nel decreto sui ristori e sul caro bollette, è spuntata una norma che vieta le cessioni a ripetizione dei crediti fiscali nati dagli incentivi per le ristrutturazioni e per l’efficientamento energetico. Chi fa dei lavori sulla propria casa potrà continuare a ottenere lo sconto in fattura dall’impresa esecutrice. L’impresa esecutrice potrà scontare in banca il credito nei confronti dell’Agenzia delle Entrate. Poi basta. I crediti non potranno più rimbalzare liberamente tra aziende, tra aziende e banche, o tra improbabili imprese nate dalla sera alla mattina. Il governo ha deciso di chiudere a doppia mandata questo mercato, una sorta di Far West ormai, dei crediti d’imposta. Che, come dimostrano le inchieste della magistratura e i sequestri della Guardia di finanza, era finito fuori controllo.

L’ultimo caso è scoppiato qualche giorno fa, quando la procura di Napoli ha alzato il velo su una frode da 110 milioni di euro. Ignari contribuenti si erano accorti della presenza nei loro “cassetti fiscali” presso l’Agenzia delle Entrate, di crediti per ristrutturazioni mai effettuate. Non solo. Quei crediti risultavano anche ceduti ad un consorzio di società di costruzioni tramite lo sconto in fattura. Solo che le fatture, le asseverazioni e gli altri documenti, secondo le indagini della procura sarebbero assolutamente fasulli. I crediti però, nei “cassetti fiscali” delle imprese del consorzio c’erano rimasti poco. Subito avevano preso altre strade. Erano a loro volta stati “scontati” presso il mondo finanziario. Continui passaggi di mano. Oltre 40 milioni erano finiti a un fondo speculativo, Alternative Capital Partners, e da questi girati lo stesso giorno a Banco Desio. E poi assicurazioni come Groupama, e istituti come Banca Ifis, Illimity, oltre alla Cassa depositi e prestiti e alle Poste. Un giro vorticoso. Ma un caso ancora più eclatante è quello scoperchiato dalla Procura di Roma alla fine dello scorso anno. Qui il meccanismo della presunta frode è persino più “rozzo”, ma assai più remunerativo per i protagonisti del raggiro. Il profitto della presunta truffa sarebbe infatti superiore al miliardo di euro, quasi mille e duecento milioni di falsi crediti. Al centro della girandola, questa volta, c’era una sorta di società cartiera. Solo che invece di produrre false fatture, secondo i magistrati produceva falsi crediti da bonus edilizi. Dichiarava di avere quasi duemila immobili. Ma erano nella maggior parte stalle o poco più, garage e altri manufatti di poco valore. Con le fatture di ristrutturazione risultavano in media 4 milioni di euro di lavori di ristrutturazione su ogni immobile.

Anche qui, il sospetto, è che fosse tutto falso. Ma quello che è incredibile è il giro vorticoso dei crediti d’imposta, che passavano da una società all’altra, a volte anche nello stesso giorno, rendendo difficile tenerne traccia. L’approdo finale erano soprattutto le Poste e, per 81 milioni di euro, la Cassa depositi e prestiti. Come mai due società pubbliche? Per le Poste probabilmente perché, almeno all’inizio, le procedure di sconto erano assai più semplici rispetto a quelle del mondo bancario che si è invece dotato sin da subito, almeno nel caso dei grandi gruppi del credito, di piattaforme di verifica dei documenti all’origine del credito, anche quando a scontarlo non erano i primi beneficiari, ma soggetti che lo avevano già comprato sul mercato. Ma non si tratta solo questo. «Nel 2020, anno a cui risalgono le truffe, eravamo in piena pandemia, con il Pil in calo quasi del 10 per cento. C’era una spinta politica da parte del governo dell’epoca a immettere più liquidità possibile nel sistema», spiega una fonte che chiede l’anonimato. Era il periodo degli scostamenti di bilancio da decine di miliardi al mese, della sospensione delle rate dei mutui, dei ristori. Sul superbonus, dunque, ci sarebbe stato una sorta di tana-libera-tutti, per spingere il più possibile l’economia che rischiava di finire nel baratro.

E questo, insomma, giustificherebbe la presenza nel mercato dei crediti anche della Cassa depositi e prestiti, braccio finanziario del governo allora guidato da Giuseppe Conte. E anche delle Poste che, dall’ultimo rendiconto disponibile risultano aver scontato 4 miliardi di crediti, contro il miliardo di Intesa Sanpaolo, la principale banca del Paese. Del resto, per banche e istituti finanziari, almeno per un periodo si è trattato di un business quasi senza rischi. Nel caso avessero acquistato un credito da un beneficiario che non ne aveva diritto, e quindi anche fasullo, nessuno di loro ne avrebbe risposto. L’Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto recuperare il dovuto solo da chi quel credito lo aveva ceduto, non da chi lo aveva acquistato. Che invece, era messo al riparo da qualsiasi pretesa del Fisco. Detto in altri termini, le banche, le Poste, le assicurazioni, avrebbero avuto nei loro bilanci un tranquillissimo e sicurissimo credito nei confronti dello Stato. In caso di truffa non ne avrebbero risposto. A pagare sarebbero stati eventualmente i truffatori, se presi in tempo. Altrimenti il conto sarebbe andato allo Stato e, dunque, ai contribuenti. Con una sola eccezione. A meno che l’intermediario non avesse «concorso» alla truffa. Difficile, difficilissimo da dimostrare. Tanto è vero che in tutte le inchieste della magistratura le Poste, la Cassa, le banche, sono considerate parte lesa. Di fatto i crediti dei superbonus hanno creato una sorta di moneta parallela. Eppure i segnali che le cose non stessero andando nel verso giusto c’erano. La prima ad accorgersi di quello che stava avvenendo è stata la Banca d’Italia, che già all’inizio dello scorso anno attraverso l’Uif, l’unità di informazione finanziaria, aveva provato a mettere un freno al fenomeno. In che modo? Non rendendo così scontata l’assoluzione degli intermediari finanziari.

C’è concorso, aveva spiegato l’Uif, se l’operazione di sconto dei crediti è sospetta e non viene segnalata all’antiriciclaggio. Per escludere il concorso, aveva poi chiarito in una articolata nota l’ufficio studi Eutekne, bisogna necessariamente controllare, direttamente o attraverso advisor, se la documentazione alla base del credito a monte è regolare. Cosa che non tutti gli intermediari hanno fatto. Poi è intervenuto il governo Draghi, nel novembre scorso, con il primo decreto anti-frodi, che ha fondamentalmente dato la possibilità all’Agenzia delle Entrate di congelare per 30 giorni la cessione del credito. Infine, ieri è arrivata la nuova stretta, con il tetto a una singola cessione. Da oggi, insomma, non ci potranno più essere passaggi incontrollati di crediti da superbonus. E i contratti di cessione che violano la regola di un unico sconto, saranno nulli. L’impressione resta comunque, come detto, che molti dei buoi siano scappati se è vero, che l’Agenzia delle Entrate ha già individuato truffe derivanti dalla cessione dei crediti per 4 miliardi di euro. Più o meno la stessa cifra messa ieri sul piatto dal governo per contenere il caro-energia per le imprese. O se si vuole, la metà di quanto speso per tagliare l’Irpef quest’anno a tutti i contribuenti italiani.

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