Le prime, ingenue, storie d’amore, quelle un po’ meno ingenue, e poi gli anni del terrorismo in Alto Adige, il razzismo, l’omosessualità, il carcere. La sopraffazione. Dei nativi americani innanzitutto. Il mito. Da Parsifal ad Attila, a Lindbergh. Non c’è storia d’amore, e forse argomento, che non riconduca ai Pooh. Ai loro quasi ventimila giorni di musica iniziati in un lontano febbraio del 1966. E a dare ritmo a gran parte di quei giorni è stato un batterista dallo stile unico ed inimitabile: Stefano D’Orazio. Paroliere raffinato, cresciuto alla scuola di un grande maestro, Valerio Negrini, se ne è andato via lasciandoci tanto sgomento, ma anche tantissime cose che varrà sempre la pensa conservare tra quelle belle dei vent’anni nostri, parafrasando uno dei suoi straordinari testi. Ma anche chi vent’anni li ha oggi potrebbe spalancare le porte di quel mondo. E chi non lo fa non sa che cosa si perde! Oggi ci son o stati i funerali, nella Chiesa degli Artisti a Roma. Tanti applausi, il dolore infinito della moglie Tiziana, i fans che hanno intonato alcune delle più famose canzoni dei Pooh. E gli amici per sempre: Roby Facchinetti, Red Canzian, Dodi Battaglia, Riccardo Fogli. E tanto di diretta Rai, servizi su Canale 5 con tante testimonianze toccanti di Barbara D’Urso. Come si fa per i grandi, come è stato Stefano. “Finché morte non ci separi” recitava un cartello regalato a Stefano da un Fan, quando nel 2009 decise di scendere dall’astronave Pooh. Poi ritornò per il gran finale nel 2016. Ma la collaborazione con i Pooh è sempre rimasta stretta. Non a caso sono arrivate oltre 16milioni di visualizzazioni con Rinascerò rinascerai, e poi gli inediti dell’ultimo, ottimo, album di Facchinetti. Ed il futuro è qui ma il meglio sta arrivando: il seguito di Parsifal, due ore di grande musica e grandi testi, è praticamente pronto. Perché, è vero Stefano?, quando si è un Pooh si è un Pooh per sempre. “Finché morte non ci separi”. Appunto. Ma poi, chissà…!?

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