In una stanza un armadio rimasto chiuso per duemila anni con tutto il suo corredo di stoviglie all’interno, piattini di vetro, ciotole di ceramica, vasi. In un’altra un tavolino ancora apparecchiato con le sue suppellettili, un letto, una cassapanca. A Pompei si scava nel retro del giardino incantato, lo stupefacente spazio dipinto con il grande larario che fu riportato alla luce nel 2018, e a sorpresa là dove ci si aspettava una casa importante e fastosa, vengono fuori ambienti modesti ma pieni di dignità, dove non mancano oggetti raffinati e persino un fascio di documenti che il calco in gesso ha fatto incredibilmente riapparire. Ambienti che raccontano la vita del ceto medio basso della città, spiega il direttore del parco Gabriel Zuchtriegel, «persone che tante volte vivevano in affitto e comunque ai margini delle classi più benestanti». Nella città campana che dall’80 a.C era diventata una colonia romana, questa era una situazione molto diffusa, sottolinea, «Una realtà che riguardava una gran parte della popolazione, eppure fino ad oggi poco documentata e raccontata». A fronte della meraviglia dell’esterno con i grandi e sinuosi serpenti e le bestie feroci che fanno bella mostra di sé nel raffinato larario, le pareti di queste stanze sono intonacate ma nude, senza traccia di pittura. Non mancano i servizi però, una cucina e una latrina, quasi come quelle che si trovano nelle abitazioni più importanti. «Si riuscì a far adornare il cortile con il larario e con la vasca per la cisterna con pitture eccezionali, ma evidentemente i mezzi non bastavano per decorare le cinque stanze della casa», commenta il direttore. «Un lavoro di squadra straordinario, una bellissima storia di riscatto, Pompei non smette di stupire», commenta il ministro della cultura, Dario Franceschini.

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