La percentuale non è altissima, ma il rischio c’è. Per questo il caso della reinfezione non è stato trascurato dall’ultimo rapporto dell’Istituto superiore di sanità, che ha raccontato come dal 24 agosto al 9 gennaio 2022 siano stati segnalati 108.886 casi di reinfezioni, pari a 2,7% del totale dei casi notificati. Nell’ultima settimana la percentuale di reinfezioni è cresciuta fino al 3,2%, un dato stabile rispetto alla settimana precedente (3,4%). Colpa, neanche a dirlo, di Omicron, che secondo gli ultimi studi inglesi rischia di contagiare chi è guarito fino a cinque volte di più rispetto alla variante Delta. La protezione post contagio del Covid come lo conoscevamo prima dell’ondata Omicron, non esiste più: prima si attestava intorno all’85%, ora oscilla tra il 19 e il 20%. E ora che sono milioni gli italiani colpiti dal virus, le domande sulle possibili reinfezioni una volta guariti, tornano di moda. Per essere un caso di reinfezione, il contagiato deve contrarre il Covid a 90 giorni dalla precedente malattia: per il Ministero della Salute esiste però un’altra possibilità, ossia meno di 90 giorni ma con ceppo virale diverso, documentato da genotipizzazione. A rischiare di più, spiega l’Istituto superiore di sanità, sono i non vaccinati (anche rispetto a chi si è coperto con la prima dose) e gli operatori sanitari, in prima linea nella battaglia contro il virus. In particolare, il report dell’Iss racconta come siano stati 21mila i casi di reinfezione nei non vaccinati tra metà dicembre e metà gennaio mentre 2.800 quelli tra i vaccinati con almeno una dose al momento della prima diagnosi e 65mila tra coloro che hanno ricevuto il vaccino dopo il primo dei contagi. Capitolo operatori sanitari: oltre 4mila reinfezioni in un mese a fronte di 37mila prime diagnosi. Le fasce d’età più colpite sono quelli dei 20-39enni (39% delle reinfezioni) e i 40-59enni (34%).

Allora cosa sta salvando i reparti di terapia intensiva e gli ospedali? I vaccini e la risposta immunitaria: chi ha completato il ciclo vaccinale anche con la dose booster è nettamente più protetto di chi invece non lo ha fatto o è indeciso. L’altra risposta – documentata da studi che arrivano da Inghilterra e Stati Uniti – riguarda i linfociti T, le cellule della memoria immunologica che “ricordano” le infezioni precedenti evitando i casi gravi. «Fino a metà dicembre le reinfezioni erano circa l’1% del totale dei casi notificati di Covid. Nelle ultime due settimane, anche se il dato è in fase di consolidamento, è aumentata la percentuale delle reinfezioni. Quindi è verosimile che chi si è infettato con la Delta, oggi si sta reinfettando con la Omicron. Oggi è difficilissimo dire il contrario», ha spiegato Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione Gimbe. Ma chi ha preso Omicron, può riprenderlo? La risposta è che è altamente improbabile, perché il nostro organismo dopo il contagio con la variante produce una risposta contro quel virus specifico, evitando altre reinfezioni con la stessa variante.

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